mercoledì 23 maggio 2018

Contributi inviati al SenatoLAb

Sul nastro di partenza 


16/02/2018 

Finalmente inizia il nostro viaggio attraverso gli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. Con le nostre insegnanti abbiamo cominciato ad entrare nel vivo della questioni a partire da un breve ​excursus storico che ci ha condotto dal 10 dicembre 1948, anno in cui la Dichiarazione è stata approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, alle odierne e non ancora sopite aspirazioni dei popoli alla libertà e alla giustizia. La loro conquista ha richiesto lunghe e dolorose lotte nel corso della storia, testimoniate da un’analisi che ci ha permesso di confrontare ciò che è enunciato nella Dichiarazione con la drammatica condizione in cui ancora vivono miliardi di esseri umani nel XXI secolo. Infatti, ci siamo resi conto che, nonostante i risultati positivi, c’è ancora molto da fare, anche nei paesi più avanzati, anche da noi. Ogni volta che un bambino viene costretto a lavorare, ogni volta che una donna subisce violenza o è costretta ad un matrimonio non voluto, ogni volta che un migrante viene umiliato o maltrattato e un individuo viene discriminato per il colore della pelle, ecco che un diritto viene negato e la società ne è ferita.
Insieme ai nostri compagni, suddivisi in gruppi di lavoro, abbiamo analizzato i trenta articoli della Dichiarazione raggruppati in quattro categorie di diritti:
1. Diritti della persona umana: uguaglianza, diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza;
2. Diritti che ogni persona ha nei confronti dello stato o del gruppo sociale di cui fa parte;
3. Diritti politici: libertà di pensiero e di associazione,diritto di votare e di essere eletti, di partecipare al governo….
4. Diritti in campo economico e sociale: diritto al lavoro, diritto ad una retribuzione equa, al riposo, all’istruzione…



Riflettere e discutere

19/02/2018 
Tutti gli articoli della Dichiarazione ci sembravano interessanti e non è stato così facile             selezionarne uno. Ma proprio come si fa nelle vere democrazie, ognuno di noi, su un              bigliettino, ha scritto l’articolo che avrebbe voluto testimoniare, per cui, a stragrande            maggioranza, è stato votato l’articolo 26:

1. Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.

2. L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e dal             rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.

Documentandoci sulla questione dell’istruzione negata, abbiamo constatato che nelle regioni          meno sviluppate, a causa della povertà, il 15% dei bambini non ha accesso all’istruzione              primaria il 20% degli iscritti è costretto a lasciare la scuola senza aver completato il ciclo                primario. Di conseguenza, gli adulti che non sanno leggere né scrivere superano il miliardo. Da alcune ricerche, inoltre, risulta che , oltre a coloro che non sanno leggere e scrivere, vi sono:​semianalfabeti ​(persone, perlopiù anziane, con la sola licenza elementare);      
analfabeti di ritorno (persone che, non praticando la lettura né la scrittura, disimparano quanto appreso);
analfabeti funzionali​(persone che leggono e scrivono in modo talmente limitato da non riuscire a compiere le funzioni di base per essere cittadini a pieno titolo).
Si aggiungono a questi gli immigrati, molti dei quali hanno una conoscenza approssimativa           della lingua del paese in cui risiedono.
Discutendo in classe sul materiale fornitoci dalle insegnanti, abbiamo notato come l’incidenza dell’analfabetismo varia fortemente da paese a paese e abbiamo dedotto che probabilmente le stime indicate dall’UNESCO riportano dati non sempre veritieri in quanto i governi di molti paesi tendono a sottostimare il tasso di analfabetismo presente sul loro territorio.


La scuola al tempo dei nonni

24/02/2018

In classe abbiamo aperto una discussione riguardante l’istruzione che noi diamo come dato
certo e scontato ma che, evidentemente, in molte realtà non lo è. Ci siamo chiesti se la
scuola che conosciamo noi sia la stessa che hanno conosciuto i nostri nonni e, per saperlo,
abbiamo pensato di avere con loro un confronto che ci ha molto stupito.
Nonno Antonio : “ Andare a scuola ai miei tempi non era una bella esperienza, appena si
tornava a casa bisognava ripartire con le mucche e con le pecore, il tempo per studiare era,
quindi, poco. ”.
Nonna Maria : “ In prima elementare ci insegnavano i vari segni di punteggiatura, le lettere e
i numeri fino a dieci. In seconda si imparava a scrivere, a leggere e a fare le operazioni, ma
ricordo anche i castighi: in ginocchio dietro la lavagna per ore e ore. I giorni erano tutti
uguali, non si facevano gite e nemmeno la ricreazione e quando si arrivava a casa, si
doveva andare nei campi a lavorare, mentre i compiti si rimandavano alla sera, quando,
ormai troppo stanchi, si finiva per addormentarsi sui libri”.
Nonna Pina : “ Nei nostri paesi le scuole erano formate da pluriclassi, in un’unica classe
c’erano bambini di prima, seconda e terza elementare e la maestra era una sola e
insegnava tutte le materie. La maestra era molto severa e se non studiavamo ci metteva in
castigo; avevamo meno libri di voi, ma andavamo a scuola tutti i giorni dalle otto alle tredici;
avevamo due rientri pomeridiani senza mensa”.
Nonno Angelo : “ Ho frequentato solo la prima e la seconda elementare, all’epoca non c’era
molto tempo per i libri. Mi alzavo all’alba per aiutare mio padre con gli animali, correvo a
scuola già stanco e, al mio rientro, c’era il lavoro dei campi ad aspettarmi. Non ho imparato
molto a quei tempi, ma desideravo tanto saper leggere, scrivere e fare i conti. Appena ho
potuto, da giovane ormai, sono andato alle scuole serali e ho preso la licenza elementare”.
Racconti di questo genere ci illudono che simili realtà appartengano esclusivamente ad
un’epoca passata, ma, volgendo lo sguardo al nostro mondo, ci accorgiamo che ciò che noi
consideriamo “scuola del passato” è attualità per molti, anzi, troppi bambini e ragazzi.


L’istruzione non negata: la scuola di Barbiana

02/03/2018

Le insegnanti ci hanno proposto la lettura del libro di Don Milani Lettera a una professoressa
da cui abbiamo tratto il seguente brano:

A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dal prete. Dalla mattina presto fino a buio,
estate e inverno. Nessuno era «negato per gli studi». Ma noi eravamo di un altro popolo e
lontani. Il babbo stava per arrendersi. Poi seppe che ci andava anche un ragazzo di S.
Martino. Allora si fece coraggio e andò a sentire. Quando tornò vidi che m’aveva comprato
una pila per la sera, un gavettino per la minestra e gli stivaloni di gomma per la neve. Il
primo giorno mi accompagnò lui. Ci si mise due ore perché ci facevamo strada col pennato e
la falce. Poi imparai a farcela in poco più di un’ora. Passavo vicino a due case sole. Coi vetri
rotti, abbandonate da poco. A tratti mi mettevo a correre per una vipera o per un pazzo che
viveva solo alla Rocca e mi gridava di lontano. Avevo undici anni. Lei sarebbe morta di
paura. Vede? ognuno ha le sue timidezze. Siamo pari dunque. Ma solo se ognuno sta a
casa sua. O se lei avesse bisogno di dar gli esami da noi. Ma lei non ne ha bisogno.
Barbiana, quando arrivai, non mi sembrò una scuola. Né cattedra, né lavagna, né banchi.
Solo grandi tavoli intorno a cui si faceva scuola e si mangiava. D’ogni libro c’era una copia
sola. I ragazzi gli si stringevano sopra. Si faceva fatica a accorgersi che uno era un po’ più
grande e insegnava. Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi
riempiva di ammirazione. Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch’io. La vita era
dura anche lassù. Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare. Però chi era senza
basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della
classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finché non aveva capito, gli altri non
andavano avanti ”.
Abbiamo scelto questo brano perché ci è sembrato un inno all’ inclusività, all’accoglienza e
al diritto a ricevere un’istruzione che deve appartenere a tutti, senza limitazioni né
discriminazioni di alcun genere.
Viviamo vicini ad una comunità di immigrati che accoglie molti minori stranieri; ci è venuto,
dunque, spontaneo calare il contenuto di questo brano nella nostra realtà e pensare che la
frase “ chi era senza basi veniva accolto come il primo della classe ” debba valere anche
per questi bambini e ragazzi resi ultimi da una vita ingiusta e sbagliata.


L’istruzione: un diritto a lungo scambiato per un privilegio

07/03/2018

Ci siamo resi conto che per molto tempo, nella Storia, l’istruzione è stata un privilegio
concesso soltanto ai figli maschi delle classi sociali più ricche: aristocratici e,
successivamente, anche borghesi. I ceti sociali più miseri vennero esclusi per secoli dal
diritto all’istruzione poiché le classi agiate temevano che la cultura potesse costituire per loro
una potente arma di riscatto politico e sociale: chi ha accesso all’istruzione, infatti, può più
facilmente conoscere i propri diritti ed è, di conseguenza, meno manovrabile e influenzabile.
Proprio per questo motivo, nei Paesi democratici l’istruzione è considerata sia un diritto sia
un dovere poiché la cultura dei singoli costituisce una ricchezza per l’intera collettività.
Nel Settecento, in nome della lotta all’ignoranza e alla superstizione, si affermò il principio di
una scuola primaria aperta a tutti che, tuttavia, iniziò a divenire realtà in alcuni Paesi soltanto
a partire dal secolo successivo. Nel lungo cammino di conquista del diritto all’istruzione, le
donne hanno subito una costante discriminazione, relegate sempre ed esclusivamente al
ruolo di moglie e madre.
Ai giorni nostri, la piaga dell’analfabetismo, lungi dall’essere sanata, affligge ancora molte
aree del Pianeta e, in percentuale, interessa le donne molto più degli uomini. Le
conseguenze sono gravi e si riflettono a livello globale: senza istruzione, infatti, non si può
contribuire al miglioramento sociale, non si possono far rispettare i propri diritti, non si può
vivere degnamente. Senza istruzione diventa difficile anche gestire rapporti sociali improntati
alla comprensione, alla pace, alla tolleranza, alla parità tra i sessi, alrispetto dell’altro,
all’apertura verso culture diverse.



Un incontro con lo scrittore Paolo De Chiara

14/03/2018

Il 12 marzo 2018 abbiamo avuto il piacere di incontrare nella nostra scuola lo scrittore Paolo
De Chiara, autore di diversi libri tra i quali Il veleno del Molise e Il coraggio di dire no. Lea
Garofalo.
Durante l’incontro lo scrittore ci ha parlato, tra l’altro, di come, in alcune grandi città e non
solo, domini la criminalità organizzata. “Famiglie” si fanno guerra per avere il predominio sul
territorio e chi è coinvolto in questa faida infinita, per proteggere la vita dei propri figli,
preferisce tenerli in casa, privandoli così di un loro diritto: l’istruzione, grazie alla quale
potrebbero, forse, uscire da questo circolo vizioso. La scuola di questi bambini è, purtroppo,
la strada; lì imparano a sopravvivere con la legge del più forte. Spesso vengono impiegati
dalla criminalità per commettere furti, estorsioni e altre azioni illegali. Per costoro l’istruzione
è un diritto negato che preclude loro la possibilità di pensare e scegliere con la propria testa.
Saranno schiavi del denaro, del sistema che li ha fagocitati, incapaci di ribellarsi ai loro
burattinai. Lo scrittore ci ha fatto riflettere sull’importanza della scuola nella vita di ogni
persona: studiando, ogni ragazzo può crearsi un futuro migliore, avere degli strumenti in più
per risolvere i problemi della vita. Solo migliorando se stessi si può essere utili anche agli
altri; solo costruendo una rete di relazioni umane, in cui ogni persona è utile all’altra, sarà
possibile costruire una società dove il valore aggiunto è la solidarietà e in cui la dignità di
ogni individuo è il principio basilare per una vita migliore.
Foto

I nostri alunni incontrano gli studenti del CPIA di Campobasso
23/02/2018

Il Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti di Campobasso accoglie soprattutto ragazzi immigrati provenienti dalle realtà più povere del mondo. Si tratta di persone che arrivano in Italia con mezzi di fortuna, affrontando, il più delle volte, viaggi estenuanti e lunghi al termine dei quali solo i più fortunati sopravvivono. Fuggono da zone flagellate dalla guerra, dove il denaro pubblico è principalmente utilizzato per spese militari a discapito della salute, del benessere e dell’istruzione dell’intera popolazione.
L’estrema povertà, la fame, le malattie, l’analfabetismo rendono queste persone invisibili alle statistiche e al mondo. Per questo motivo, in un sussulto di disperazione, decidono di mettere la propria vita nelle mani di feroci aguzzini avventurandosi in viaggi strazianti che, tuttavia, costituiscono per loro l’unica speranza per poter rinascere e vivere. Alcuni dei ragazzi che abbiamo incontrato ci hanno raccontato la loro storia fatta di sofferenza, sopraffazione, soprusi, ignoranza, ma anche di desiderio di riscatto e di rivincita per una vita negata ma che urla di esistere. Ecco perché ci hanno espresso il desiderio, ora che sono qui, di volersi pensare cittadini: conoscendo se stessi, i propri sentimenti; imparando a conoscere quelli degli altri, a rispettarli; e ancora, riconoscendo nel bene collettivo il proprio bene, percependo se stessi come cittadini di uno Stato, ma anche del mondo, senza chiusure identitarie. Soprattutto, pensando razionalmente e rifiutando il fascino pericoloso dei pregiudizi o del fanatismo.
La cultura, l’istruzione ci offrono la capacità e la possibilità di ragionare e ci insegnano a inerpicarci sulle vie di un pensiero più vasto. Il valore di questa conquista è immenso: chi sa ragionare, capire, pensare, difficilmente diventerà preda di mostri come il razzismo, l’integralismo, il fanatismo, la criminalità e sfruttatori senza scrupoli.
L’ignoranza per la schiavitù, un libro per la libertà.
Breve considerazione dull'incontro
Dopo l’incontro con i ragazzi del CPIA, i nostri alunni si sono fermati a chiacchierare con i loro nuovi amici stranieri e, tra un bicchiere di aranciata e un dolcetto, si sono scambiati le loro opinioni circa la scuola, il metodo di studio adottato, le attività pomeridiane, i loro sogni e le loro aspirazioni. Abbiamo notato che, nonostante le differenze culturali e le difficoltà linguistiche, i ragazzi sono riusciti comunque a trovare con facilità e naturalezza un terreno comune su cui discutere e confrontarsi: la loro giovane età, il loro entusiasmo, la loro naturale curiosità hanno creato il giusto ponte per incontrarsi e divertirsi insieme. Ovviamente non potevano mancare le consuete foto e un simpatico video che inneggia alla scuola. 


Un incontro con i ragazzi dello SPRAR di Campobasso: Mamadì
Il 20 marzo è stato un giorno davvero emozionante per noi alunni che abbiamo avuto il piacere di incontrare e conoscere Mamadì e Atif, due ragazzi stranieri, oggi mediatori culturali, che hanno accettato di venire nella nostra scuola per testimoniare, attraverso la propria esperienza di vita e le proprie scelte, l’importanza dell’istruzione come mezzo di riscatto per la libertà, la pace e la tolleranza. (foto) Mamadì è nato e cresciuto in Gambia dove, lui stesso lo sottolinea, è stato così fortunato da riuscire a studiare e laurearsi in Scienze Politiche: un lusso se non addirittura un miracolo nel suo Paese. Ha lavorato per qualche tempo come giornalista, ma le sue scomode verità lo hanno reso un perseguitato politico costretto a fuggire per salvare la propria vita. Il suo viaggio verso l’Italia è stato un calvario a metà tra orrore e speranza, difficile anche solo da ricordare e raccontare. La determinazione e la tenacia di questo uomo, tuttavia, gli hanno permesso di costruirsi poco per volta una nuova possibilità di vita. Nella sua testimonianza ci ha più volte ricordato il valore dell’istruzione che rende liberi, che permette di conoscere e difendere i propri diritti, che aiuta ad accettare e rispettare l’altro, che permette di vivere nella tolleranza e che offre una speranza per un mondo migliore. Troverete qui di seguito il link alla pagina del nostro blog in cui potrete visualizzare una parte della sua testimonianza e alcuni dei nostri interventi.
Un incontro con i ragazzi dello SPRAR di Campobasso: Atif
Atif è nato in Kashmir, una meravigliosa terra straziata da interminabili scontri religiosi e politici che hanno coinvolto India e Pakistan per il possesso di questo piccolo scrigno. Ora il Kashmir appartiene al Pakistan, ma, come sottolinea Atif, solo la nazionalità dei suoi abitanti è pakistana, la loro identità è kashmira.
Parlare di sé e della propria esperienza di vita è stato molto difficile per questo ragazzo di trent’anni che,durante il suo difficile viaggio verso il nostro Paese, ha visto e vissuto esperienze così tragiche da non riuscire neppure a raccontarle. Atif ci ha detto di aver studiato in Kashmir, una fortuna per un ragazzo come lui che, ogni mattina, zaino in spalla, doveva camminare per chilometri prima di raggiungere la scuola. Quando è dovuto fuggire via dal suo Paese e dalla sua famiglia ha fatto una terribile scommessa con la vita ed è sopravvissuto … nonostante tutto.
Oggi dice che sarebbe meglio morire nel proprio Paese piuttosto che vivere quello che lui ha vissuto durante il viaggio, “almeno” ci ha detto “lì c’è qualcuno che piange per te se muori”. Il dolore del passato e del presente, tuttavia, non hanno tarpato le ali alla sua determinazione. Appena giunto in Italia ha deciso di ricominciare a studiare, di imparare la nostra lingua, di istruirsi perché, come ha più volte sottolineato, senza istruzione e senza cultura non c’è libertà, non ci sono diritti, non c’è rispetto, non c’è pace.

Video


venerdì 6 aprile 2018



Atif, il ragazzo giunto in Italia dal Kashmir, ricorda ai nostri ragazzi quanto siano fortunati ad avere la possibilità di studiare.

https://drive.google.com/file/d/1yuHd50qSXuHmT2lWPdnES_8hVBx7NCSb/view?usp=sharing


Il desiderio di Mamadì, il ragazzo della pace.

Una delle nostre alunne ha chiesto ai nostri ospiti quale fosse il loro desiderio più grande. Mamadì, "Peace Boy"come viene chiamato, ha parlato per primo e ha sorpreso tutti noi dichiarando che il suo sogno più grande è vedere un giorno la pace e l'amore regnare nel mondo per tutti. I nostri ragazzi erano sicuri che Mamadì avrebbe espresso il desiderio di riunirsi ai fratelli che ama più della sua stessa vita, invece nel suo infinito amore per l'umanità, ha saputo guardare oltre!

https://drive.google.com/file/d/19jk8bHv1ZEx2COdhOIlH42gr5RlHNlSJ/view?usp=sharing



Qui di seguito troverete una serie di link che mostrano video in cui i nostri alunni hanno posto delle domande a Mamadì e Atif.

https://drive.google.com/file/d/1mbmgJZYTMiSrKXeWaybEKpoJW-3Ytjug/view?usp=sharing

https://drive.google.com/file/d/1AL66Ytfvmds5tiC_qLswHVReNVWzRETl/view?usp=sharing

mercoledì 4 aprile 2018

I nostri ragazzi incontrano Mamadì e Atif.







La testimonianza di Mamadì

Mamadì è un ragazzo di trent'anni giunto in Italia tre anni fa su un barcone della speranza e dell'orrore. Giovane giornalista laureato in Scienze Politiche, si è visto costretto ad abbandonare il suo Paese, il Gambia, perché perseguitato dalle autorità locali a causa delle scomode verità di cui si faceva portavoce. Accolto nel nostro Paese, Mamadì ha deciso di impegnarsi socialmente per aiutare quanti, come lui, fuggono da storie di persecuzione, violenza, orrore e disperazione. Ha studiato come mediatore culturale e lavora a Campobasso all'interno dell'associazione che, tre anni fa, lo ha accolto a braccia aperte. Durante l'incontro con i ragazzi della scuola di Petrella Tifernina, Mamadì ha più volte sottolineato l'importanza dell'istruzione come mezzo di riscatto per la pace, la libertà, la difesa dei diritti umani, la tolleranza e la comprensione reciproca.